Introduzione del libro

10.02.2014 04:07

“Papà, facciamo il Cammino di Santiago de Compostela?”

Questa è stata la richiesta che mia figlia Chiara fece un anno prima. L’idea di questa escursione, infatti, è nata da lei. Chiara, durante l’estate del 2012, nella nostra casa in Abruzzo mi ha proposto d’intraprendere al termine della scuola dell’anno successivo questo percorso. Il “perché” non gliel’ho chiesto, ci ho pensato dopo, quando siamo tornati, quando ho sentito l’importanza dell’esperienza sulla pelle; ed è stato a quel punto che mi sono chiesto non solo “perché il Cammino anziché Rimini?”, ma anche “perché chiederlo a me?” A Chiara non mancano gli amici e non siamo dei genitori proibitivi… io di certo avrei rotto le scatole per andare con i miei amici. In ogni modo la richiesta è stata accolta e mantenuta, per un anno, fino alla partenza, senza tentennamenti. A dire il vero Chiara non ha rinunciato a coinvolgere i suoi amici, ma semplicemente erano loro che non avevano alcuna intenzione d’essere coinvolti nella camminata. Questo particolare mi riporta a quando ero giovane e volevo coinvolgere qualcuno nei miei viaggi: vedo delle analogie tra le due epoche e non penso per niente che sia un dettaglio generazionale.

Sui miei blog ci sono dei giovani che mi sottopongono, in parte, i loro disagi e mi raccontano i loro malesseri del vivere quotidiano sognando la fuga, il viaggio, la libertà. Poi, però, trovano grosse difficoltà a realizzare, o quantomeno a tentare di fare, tutto ciò. Stiamo attenti a non cadere nel tranello con il pensare che i giovani di oggi siano meno propensi a sperimentare certe scelte di vita, mentre trenta o quaranta anni fa era più normale. Rapportandomi con la mia esperienza mi sento di smentire certe valutazioni. Mi sembra la stessa situazione della generazione Sessantottina o hippy, catalogandole come se fossero realtà consolidate su vasta scala. Io, invece, ritengo che, tanto per ancorarmi a quei due movimenti, chi ne apparteneva era una minoranza neanche poi tanto numerosa. Stessa cosa è per la voglia di avventura: quando ero giovane facevo una gran fatica a convincere un solo coetaneo per mollare tutto e tuffarsi a piedi uniti in un bagno di avventura incondizionata. Inizialmente, quando si facevano progetti, sembrava di essere la metà di mille, poi, con il procedere verso la linea concreta… beh, pian piano si defilavano tutti. Era così allora ed è così adesso. Perché è difficile troncare un modo di vivere consolidato per tentare l’ignoto o qualcosa di diverso dalla solita routine. Le domande più frequenti a me rivolte erano: “Se ti licenzi e vai a zonzo per il mondo, quando tornerai cosa farai? Troverai ancora un posto di lavoro?” Si può rispondere che non interessa niente del ritorno a casa (pensandolo davvero); si può rispondere che conta solo la partenza e tutto il resto arriva dopo. Ma con simili risposte si passa per pazzi, per perditempo. È dura, ma è così. Del resto pure il mitico alpinista Carlo Mauri, coetaneo dell’ancor più famoso Walter Bonatti, sosteneva che gli alpinisti o gli eroi servono come esempi, ma fuori di casa, perché ad averli vicini fanno soffrire. E lui aveva ventidue anni più di me. Insomma, all’inizio sembra che partiamo in cento con itinerari ben tracciati sulle mappe… per poi trovarsi da soli al momento giusto: questo capita oggi, com’era ieri e come sarà anche in futuro.

“La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere.” Questo è il pensiero di José “Pepe” Mujica, l’attuale trentaquattresimo Presidente dell’Uruguay (in carica dal marzo 2010), che credo sia adatto anche per chi intenda viaggiare nelle maniere meno raffinate e organizzate possibili… oserei dire in stile naïf. D’altronde l’amore per la libertà parte dalla capacità di rinuncia a tutto ciò che è consumismo, compreso quello del vizio. Pertanto, io penso che nei viaggi (come nella vita) conta essere meno viziati e mollaccioni possibili: certi vizi, del resto, rendono schiavi e prigionieri ed è difficilissimo liberarsene.

Dopo questa digressione, alla fine perché io ho accettato l’invito? Chiara ha una “certa età” chiamata adolescenza, ma anch’io ho già una certa età il cui tallone d’Achille potrebbe essere un entusiasmo non molto forte che rischia di scemare di fronte alle varie difficoltà. Almeno in teoria questa potrebbe essere l’incognita di chi non è più giovane. C’è una ricetta per ritardare l’invecchiamento? Sì, camminare il più possibile e farlo qualche volta con passo spedito, salire le scale, ridurre la quantità di pasti, evitare di fumare, contare di raro gli anni... affinché lo spirito che abbiamo dentro non se ne accorga. Ciononostante, mi si può far notare che, indipendentemente da come si affronta l’esistenza, presto o tardi s’invecchia e ci sono esperienze che non ci sono più concesse se non tramite il racconto di altri. Per di più, mi si continua ancora a far notare, presto o tardi facciamo tutti, comunque, la stessa fine e allora che vada come vada e ci si abbuffa alla grande. È innegabile quest’osservazione, ma quel che davvero conta io penso sia il tipo di vita che si vuole ottenere. In ogni caso io mi sento ancora in forma, pronto a fare più di venticinque chilometri il giorno. Non ho ritenuto di fare alcun allenamento precedente, del resto sono abituato a tenermi sempre in movimento e Chiara? Beh, lei la preparazione voleva farla, ma non aveva tempo.

A ogni buon conto abbiamo considerato che la cosa più importante sia cercare sempre di avere sogni da poter realizzare, pregustare il viaggio era diventato un buon sogno, allenati o no saremmo partiti. Come Pier Paolo Pasolini diceva: “Ho sempre sogni piccoli, perché voglio riuscire a realizzarli.” Inoltre non volevo insegnare a mia figlia a fermarsi perché non si sente all’altezza, poi negli anni potrebbe succedere che non si presenti all’esame perché pensa di non aver studiato abbastanza, che non si compri un abito perché potrebbe non starle bene. Certo, studio e disciplina sono importanti e a Chiara già non mancano. Prova ne è che quando abbiamo immaginato il viaggio saremmo dovuti partire appena finita la scuola, ma avvicinandosi la data abbiamo rinviato perché Chiara domenica 16 desiderava suonare per l’immancabile spettacolo di fine anno della sua scuola di musica. Perciò la sera di quella domenica, anziché essere in Portogallo, ero presente con mia moglie Marika al “Legend Club 54” per vedere nostra figlia davanti alla tastiera elettrica, costatando che lei è riuscita anche a superare la sua paura di esibirsi in pubblico.

E così il 18 giugno 2013 Chiara ed io siamo dunque partiti. Il programma prevedeva di arrivare a Lisbona nella tarda sera di martedì 18; da lì, due giorni dopo, prendere un treno per recarci a Porto: a questo punto sarebbe iniziata la camminata. Nell’anno “senza tentennamenti” ho anche studiato molto (forse l’ha chiesto a me per questo?); quando decidi di partire e cominci a informarti ti accorgi che le strade da percorrere possono essere varie e intraprese da punti diversi. Il Cammino scelto è quindi quello Portoghese, e precisamente da Porto a Santiago de Compostela perché corrispondeva meglio ai giorni di ferie che avevo a disposizione. I cammini verso il capoluogo della comunità autonoma della Galizia sono fatti per la maggior parte da persone motivate dalla fede religiosa. Nel nostro caso, invece, abbiamo affrontato questo Cammino dal punto di vista laico, non essendo credenti. D’altro canto il matematico (ateo) Piergiorgio Odifreddi, assieme al giornalista credente Sergio Valzania, dal 24 aprile al 26 maggio 2008 fecero il Camino Francés, sviluppando – intelligentemente – continue e quotidiane schermaglie verbali. Di questa esperienza, i due personaggi hanno pubblicato l’accattivante libro “La via Lattea” (Longanesi). Sfogliando le pagine, a un certo punto Odifreddi scrive una cosa che vorrei fare mia e che calza a pennello come spiegazione sul perché si fanno questi Cammini, pur essendo atei: “…anch’io posso dire di essere venuto per ricercare Dio nel Cammino, così come fanno tutti i pellegrini. Ma ognuno ha la sua nozione di Dio, e il mio è il Dio degli scienziati al quale accennavo poco fa, che poi non è altro che ciò che Baruch Spinoza chiamava “Deus sive Natur” (Dio, cioè la Natura). E, se Dio è la Natura, il libro di Darwin (“L’origine della specie”) è la sua Bibbia.”

Mi allaccio a questo per dire che anche chi è ateo può sentire sue certe sensazioni, senza per questo essere prerogative di nessun altro. Perciò non mi pongo il problema, perché è inesistente e non do ascolto a chi lo alimenta. Del resto c’è poco da scegliere: quasi tutti i vecchi Cammini (Via Francigena inclusa) sono nati come pellegrinaggi religiosi. E allora a questo punto chi non è credente deve solo andare nei boschi o nei sentieri di montagna? Ci sono itinerari dal sapore antico e leggendario che appartengono all’umanità, non più solo alle religioni.

Una mia conoscente, tempo fa mi chiese: Quando guardi la bella natura che ci circonda, con la sua flora e la sua fauna, non riesci a goderne la bellezza di questa sublime opera di Dio?”

Io le risposi: Certo che ne godo, ma quando osservo quello scoiattolo, quel passero, quella quercia, il sole e le stelle, non vedo l’opera di Dio… ma Dio stesso. Io Dio lo vedo nella natura: è lì che regna e si manifesta a me direttamente; il tuo Essere superiore, buono per il culto, invece è un’istituzione irraggiungibile, codificata e usata a proprio comodo secondo le necessità. Il tuo è un Dio lontano, molto difficile da raggiungere per un uomo molto dubbioso come me.”

Secondo me non c’è niente d’immortale, e ritengo che quando si muore si è soltanto un banchetto per vermi e parassiti mentre la nostra anima rimane nei cuori solo di chi ci ha conosciuto ed è ancora in vita: si resta nei cuori e nelle menti di chi continua a ricordarci, tramandando il tutto da genitore in figlio. Non riesco a immaginare l’esistenza di un Dio e neppure a pensarlo; sono sempre più convinto che la vita sia una scintilla tra due vuoti simili, il buio prima della nascita e quello dopo la morte: come del resto così sostennero sia l’austriaco Josef Breuer, uno degli inventori della psicoanalisi, e sia il suo collega Carl Gustav Jung (di 33 anni più giovane). Ed è con queste riflessioni che ho inteso affrontare il Cammino verso Santiago de Compostela, pronto a goderne il fascino sia della natura sia delle opere umane a carattere urbanistico.

Tornando a noi, mia figlia ed io non avevamo intenzione di andare a Fatima, pur non essendo lontana. Da Santiago, invece, al termine della Camminata siamo andati con un pullman, su un tragitto di circa 85 km, a Fisterra (chiamata anche in latino Finisterrae, oppure Finisterre o Finis Terrae… fine della Terra), la punta occidentale dell’Europa continentale, che fino alla fine del Medioevo fu l’ultimo lembo di terra conosciuta.

Del Cammino, sinteticamente dico che il percorso di 224 km l’abbiamo fatto in dieci tappe, il resto è stata vacanza… soprattutto in Portogallo. Un tratto breve – se si considera che il tragitto classico (ossia il Cammino Francese, che parte nei Pirenei a Saint Jean Pied de Port) è di circa 775 chilometri – ma, tuttavia, bene rapportato con il tempo che abbiamo avuto a disposizione.

A livello concreto, il puro Cammino è iniziato il 21 giugno ed è finito nella bella Santiago de Compostela domenica 30 giugno.

Sulla via del ritorno, a Cammino concluso, abbiamo pertanto visitato Porto (solo intravista all’andata) Braga (che a 5 km ha la spettacolare scalinata barocca che porta al santuario Bom Jesus do Monte) e Coimbra.

Alla fine mia figlia ed io, da Lisbona, la sera di domenica 7 luglio abbiamo preso l’aereo per tornare in Italia: siamo rincasati alle 2,30 di lunedì.

Il “nostro” Cammino portoghese è stato senz’altro allettante; lungo la strada noi siamo stati assorbiti in un gruppetto di pellegrini di più nazioni, uniti casualmente in maniera variegata, di diverse età (dai diciassette anni di Chiara ai sessantotto dell’olandese Alberto). È stato incredibilmente bello stare con loro, ed era simpatico (e un po’ laborioso) parlare tra noi in un carosello di termini provenienti da varie lingue. Non abbiamo incontrato italiani, ma ciò è stata una strana coincidenza.

Lungo la scia delle frecce gialle che indicano la strada, le persone del luogo hanno sempre mostrato verso noi pellegrini una genuina accoglienza. Eravamo un po’ i benvenuti. Non altrettanto, invece, questo comportamento benevolo si è manifestato per i ciclisti che seguono il Cammino. Del resto i ciclisti incontrati sembra quasi che facessero storia a sé, come una casta, e pertanto non c’è da stupirsi di una certa freddezza nei loro confronti.

Mi è stato chiesto se ritengo il Cammino l’avventura, o eventualmente l’esperienza più importante che io abbia vissuto. Calma e stiamo con i piedi per terra. Intanto diamo il valore giusto alla definizione di avventura: secondo me l’avventura c’è quando si sfida l’ignoto e in un Cammino verso Santiago de Compostela d’ignoto non c’è niente, perché si sa benissimo a quali distanze ci sono gli alloggi dove pernottare, e per di più si segue un percorso perpetuamente indicato dalle frecce gialle… lasciando poco margine agli imprevisti. Io penso che l’avventura viva diametralmente opposta alla programmazione. Sull’esperienza più importante della mia vita, anche qui invito alla calma giacché ne ho tante altre da incorniciare. In me, dunque, restano vivi nella mente alcuni particolari momenti, quali per esempio il viaggio in India con la Vespa, l’autostop fatto nel bel mezzo del Sahara, l’attraversamento dello stesso deserto su un piccolo camion con ben cinquanta Tuareg a bordo, i diversi giorni di navigazione sul Rio Ucayali (assieme al Rio Marañón costituisce l’origine del Rio delle Amazzoni) su una rudimentale imbarcazione mangiando cibi cotti con l’acqua del fiume, i terribili percorsi andini boliviani e peruviani, l’autostop nella Patagonia, l’attraversata in autostop dell’intera isola fredda e ventosissima della Terra del Fuoco fino a Ushuaia, con relativi passaggi fortuiti sulla strada del ritorno… Non posso dimenticare anche i viaggi faticosissimi nell’Africa nera, sia su deteriorati tassì-brousse (tassì collettivi) sia su sovraffollati treni; o che in Madagascar ho rischiato di annegare per cause assurde.

Sono dell’idea che ogni cosa deve essere collocata nella sua giusta posizione e il Cammino di Santiago era una cosa che mi mancava e perciò acquista la sua importanza per me, soprattutto per averla fatta a sessantun anni, e ne sono contento di averla assaggiata con mia figlia. Pur sapendo che è pur vero che ogni Cammino è una storia a sé e si differenzia in ogni caso dagli altri, io non rifarò questa esperienza, come non ho ripetuto le precedenti che ho vissuto, cercando pur sempre – per quanto mi sia ancora possibile – di rimanere fedele al mio spirito nomade rimasto… seppur, ormai, parecchio ridotto. A me piacciono stimoli nuovi e perdo interesse per le ripetizioni. Forse sono fatto male, ma sono così.

Per Chiara è diverso, anche in rapporto alla sua fresca età, e le auspico, al contrario mio, che in futuro segui un altro Cammino di Santiago de Compostela… magari quello chiamato Primitivo (non inflazionato come il Francese). So che mia figlia è assai determinata e ne sono certo che verrà il suo momento di rimettersi lo zaino in spalla e seguire altri sentieri che porteranno in Galicia. Chiara è motivata e ha voglia di fare un altro Cammino, soprattutto perché n’è rimasta affascinata dall’incontro con persone aperte e disponibili; insomma le è piaciuto lo spirito di gruppo che gente sconosciuta riesce tuttavia a far prevalere. Le sono piaciute la collaborazione e la tolleranza, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Ecco, questa è la cosa che ricorderà più di ogni altra, ed è ciò che la stimolerà a tornare di nuovo a Santiago de Compostela. La cosa che non le piace, e neppure a me, è eventualmente interpretare il Cammino come un fatto agonistico, una gara. Chi vuole gareggiare ha altri palcoscenici in cui misurarsi, ma qui è patetico solo a pensarlo.

Sia Chiara sia io abbiamo fatto il Cammino in maniera laica senza alcun trasporto religioso (la nostra Compostela consegnataci è perciò diversa da chi l’ha fatto per motivi di fede); ritengo che ognuno lo viva come vuole e sarebbe un peccato limitarsi a sognarlo senza mai decidersi a metterlo in pratica. Invito a diffidare di chi sostiene che “o si fa il Cammino vero, o è meglio non farlo per niente.” Chi dice così è una persona pigra che prende ogni scusa pur di non agire. Non esiste più il Cammino vero, poiché innanzitutto non si è più nel Medioevo, e inoltre ci sono diversi itinerari e ciascuno può scegliere quello più consono. L’importante è camminare, tutto il resto viene dopo. So che è irrazionale percorrere centinaia di chilometri a piedi, con gli zaini, in condizioni climatiche non sempre favorevoli, però c’è anche da dire che c’è una vocina dentro di noi che dà credito a questa idea non considerandola più folle ma un qualcosa che ci riempie di soddisfazione, nonostante la fatica e i malanni ai piedi. Ecco il punto dove l’irrazionale diventa ragionevole e dà un significato all’intero progetto. Fa riflettere ciò che la sfortunata Pippa Bacca scrisse nel 2008, prima di partire per la sua ultima escursione con il tragico epilogo: “Il viaggio è da sempre un mezzo e un fine, è una scelta di vita o per alcuni l’unico modo di vivere; è la metafora della vita stessa.”

Alla fin fine, a livello monetario quest’esperienza ci costa tanto? No, assolutamente, le spese sono abbordabilissime e ho costatato che avendo vissuto dieci giorni di pellegrinaggio e altrettanti da vacanziere… beh, i costi sono lievitati nella seconda veste, anche per i mezzi di trasporto niente affatto economici, mentre nella prima sono stati davvero bassi se si pensa che negli ostelli municipali si pagava 5 o 6 euro per notte.

In ogni caso, io sono contento di aver scelto quello Portoghese, proprio perché lì non c’è il caos del tanto decantato... “Cammino Francese”, che m’interessa sempre di meno. Che cos’altro c’è da aggiungere? È stata un’esperienza in più, fatta con la figlia, e basta. Diciamo che era una cosa che mi mancava; punto e a capo. Chiara, senz’altro, questa camminata se la ricorderà per sempre: se penso che io alla sua età ero rinchiuso in un collegio romano, quasi ignaro di ciò che succedeva nel mondo, mi diventa spontaneo aggiungere che – a parità di anni – lei è già molto più avanti di me. Io mi sono scatenato dopo, ma quando avevo diciassette anni ero soltanto un ingenuo e neppure tanto sognatore. Chiara, al contrario, è già concreta e sa ciò che vuole. La sua determinazione è ammirevole.

Confesso, e l’ho detto pure a mia figlia, che se non me l’avesse proposto lei io non ci avrei mai pensato, questo perché fino a un anno prima non sapevo quasi nulla di questi “cammini”. Poi ho scoperto cose che non pensavo: immaginavo Santiago de Compostela un luogo di bigotti o giù di lì, invece siamo stati piacevolmente smentiti di aver trovato un posto “alternativo” che mi ha riportato indietro di colpo a quattro decenni fa, all’epoca dei freakettoni. Mi è piaciuta, soprattutto perché inaspettata.

Adesso do un dispiacere a chi si appresta ad andare a Santiago de Compostela: dalla fine di luglio (del 2013, n.b.) la facciata della Cattedrale è iniziata a essere coperta per lavori di restauro, che si presume dureranno quattro o cinque anni… e tuttavia dovranno essere finiti entro il 2021 che è l’anno santo compostellano. Sarà una delusione arrivare lì e trovare la spettacolare facciata della Cattedrale tutta impacchettata. Noi abbiamo avuto la fortuna di essere arrivati un mese prima dei lavori.

Colgo l’occasione per porgere le mie condoglianze e la solidarietà alle settantanove persone morte e alle centosettantanove ferite, vittime del deragliamento del treno a poco più di tre chilometri dalla stazione di Santiago de Compostela. Una cosa terribile! Se penso che solo tre settimane prima con mia figlia ero lì, mi aumenta lo sgomento. Anche se è pur vero che alla stazione ferroviaria non ci eravamo andati giacché, a Cammino concluso, per recarsi dapprima a Finisterre e poi a Porto ci siamo serviti solo di quella dei pullman, buona per entrambe le destinazioni. Tra l’altro la tragedia è capitata alle 20,42 del 24 luglio, cioè alla vigilia di San Giacomo che è la festa di questa città, il cui nome tradotto letteralmente è San Giacomo del Campo della Stella: una festa, però, che stavolta nessuno ha avuto voglia di festeggiare. Il convoglio copriva la linea ad alta velocità da Madrid a El Ferrol (quest’ultima città si trova 90 km a nord/est di Santiago). Il treno ha imboccato una curva a 192 chilometri orari, in un tratto di linea in cui poteva andare al massimo a 80 km/h, prima di perdere il controllo e deragliare; sei dei dieci vagoni del convoglio ferroviario sono usciti dai binari e si sono rovesciati; tre vetture hanno preso fuoco.

La botta finale di questo strano 2013, capitò il 25 dicembre su una delle tappe simbolo del Cammino “Fisterra-Muxía”: il Santuario da Virxe da Barca a Muxía (circa 70 km a nord-ovest di Santiago), colpito da un fulmine e distrutto dalle fiamme. Riflettendo su questi due episodi, non penso certo ai segnali divini o all’esoterismo, giacché ritengo che certe tragedie sono segnate dal Caso e nulla più. Il fatto che le date siano proprio la vigilia della festa di San Giacomo e il Natale dello stesso anno… sono solo coincidenze.

Dopo questi dolorosi avvenimenti, una curiosità: Dante Alighieri (Vita Nova, XL, XXIV) chiariva che “pellegrino” è chi andava a Santiago (il simbolo era la conchiglia); “romeo” è chi si recava a Roma (il simbolo era la croce) e “palmario” chi andava a Gerusalemme (la palma era il simbolo, e lo era anche del pellegrinaggio in genere).

Ringrazio Angelo Vittorio Gambella, che mi ha spedito un suo libro “Bordon, concha y botafumeiro – Mistero e rivelazione del ‘Camino de Santiago’. Appunti di viaggio di un pellegrino attento”, riguardante la sua esperienza sul Cammino Francese. Oltre a questo, mi ha inviato anche un CD con ben 331 foto sul suo Cammino Portoghese fatto al seguito dell’altro, unito a un librettino che in forma di diario descrive l’esperienza. Prima che io partissi, Angelo mi disse: “Non vi è evento più bello che fare questa esperienza con i propri figli.” Ha ragione.

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Giorgio Càeran Milano giorgio.caeran@tiscali.it